Appunti sulla prostituzione di Antonia Baraldi Sani
(con un commento di Alfonso Navarra sulla libertà non come spazio libero ma come partecipazione. E, come contributo al dibattito, riportiamo la lettera di Maddy Manca: sono femminista e sono sex worker!)
Partiamo da un'analisi del termine - " pro-stituzione". C'è il "pro" che indica "vantaggio", a favore del destinatario ( o destinataria) dell'offerta. La parola di seguito ha origini greco-latine , significa "porre davanti", ossìa, in questo caso, offrire su un piatto d'argento il piacere che l'offerta racchiude. Ma chi fa quest'offerta? E' qui la differenza sostanziale tra "prostituire" e "prostituirsi". Chi offre ragazze (e ragazzi) ricavandone un tornaconto, spesso avendo tratto in inganno giovani in difficoltà economiche o comunque inesperti, costui o costei meritano tutto il nostro disprezzo. La storia che abbiamo alle spalle è millenaria. Riguarda entrambi i sessi, uomini e donne di diversa età, di diversa condizione sociale, di diverse etnie. Liberato il campo dai malviventi, ci troviamo a confrontarci con esseri umani protesi al soddisfacimento di pulsioni personali che nulla hanno a vedere con gli abissi in cui si dibatte il termine "prostituzione". L'appagamento della propria sessualità, ridotto all'essenza, scevro da sovrapposizioni di varia natura, non è diverso dalle soddisfazioni che il nostro corpo e la nostra interiorità ricavano da altre forme di nutrimento. Penso a questo quando mi capita di incontrarmi con giovani donne che vorrebbero legare il proprio rapporto col partner occasionale nella parola "prostituzione liberamente scelta". L'offerta libera del proprio corpo da loro liberamente decisa è la maggiore forma di liberta' da loro auspicata. E qui occorre fare un passo indietro. Bisogna riferirci al mondo dell'infanzia e dell'adolescenza. Senza fare ritorno agli anni della nostra gioventù, anni di preparazione familiare a un matrimonio da affrontare in stato verginale, credo che ancora oggi non siano poche le mamme tradizionaliste, e in molti casi legate a un'educazione religiosa, che crescono le figlie nel rispetto di regole indiscutibili. Queste mamme sono abbastanza sole in un mondo in cui le libertà più sconvolgenti trionfano. La prima è la ribellione all'educazione familiare ricevuta. Ecco, allora, lo svincolamento, l'affermazione della propria identità nella trasgressione. Sì, la prostituzione è l'atto di più profonda trasgressione per una ragazza; l'offerta di sè a un offerente sconosciuto sul quale far valere il proprio fascino. Non è solo un fatto di compenso, anche se i doni fanno certamente piacere, è un misto di ribellione e di potere su un uomo che in quegli istanti tieni in pugno. Per questo genere di ragazze la parola prostituzione, intesa come "sudditanza coatta", non esiste. Il rapporto è simile a quello delle prostitute, ma diversa è l'essenza, la gestione del rapporto. Varrebbe la pena esaminare i vari aspetti assunti nei secoli nei vari paesi e nei vari strati sociali dall'esercizio della prostituzione rivolto a entrambi i sessi. Da sempre è il prodotto di una cultura patriarcale, la donna usata come oggetto del desiderio, succube come fosse un fatto normale, soprattutto nei paesi dove il dominio del maschio, anche in zone della nostra penisola, continua indisturbato perpetrando femminicidi quando si sente sconfitto. La legalizzazione della prostituzione ( in Germania da un decennio e nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale) doveva offrire garanzie sanitarie a chi il "mestiere" della prostituta lo praticava; in Svezia, Norvegia, Islanda si sta facendo strada un nuovo modello in cui viene punito il "cliente"!!; in Italia la vicenda delle Case Chiuse con la loro abolizione (1958-Legge Merlin) restituiva alle donne che praticavano la prostituzione come mestiere una parvenza di dignità... La legalizzazione , dove avvenuta, a detta di varie testimonianze , non ha portato nessun giovamento alle donne coinvolte. E' logico che sia così, se si pensa che le donne, giovani o meno giovani, si sobbarcano quel mestiere per insicurezza della propria condizione, per difficoltà economiche, per trovare una soluzione alla loro condizione di vita... "Quel mestiere" dovrebbe uscire ovunque dalla legalizzazione..perché non è un mestiere!. Vi sono luoghi di ogni livello ( appartamenti di lusso, catapecchie...) dove donne ( e uomini) si prostituiscono sotto organizzazioni che vi fanno sopra lautissimi guadagni. Vanno denunciati in quanto si consumano abusi sulla dignità della persona. Ma, quante donne rinuncerebbero a guadagni pur percepiti a prezzo di tanta mortificazione? Forse può essere possibile ( anzi, è proprio ciò che avviene da parte di associazioni) una forma di rieducazione...ma a patto di riuscire a trovare subito una attività lavorativa che non le lasci in mezzo a una strada. Grandi sono le differenze in questo settore.Fondamentale è l'uso della propria libertà. Una libertà che induce a una "volontaria prostituzione", caparbia e ostile contro chi condanna ogni rapporto non dettato da un sentimento d'amore. Il termine non va usato - come ripetuto da più parti- come "sudditanza coatta" ma come libera scelta; oltre un atto d'amore, la volontà di affermazione di sé.
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IL COMMENTO DI ALFONSO NAVARRA
CARE Antonia, Luciana, Antonella, ripropongo quanto mi ha suggerito l'interessante discussione sul no sex work che abbiamo sviluppato su google meet*.
Mi pare che occorra approfondire una possibilità di comunicare meglio due concetti, in grado - spero - di supportare simbolicamente una azione più che di sfogo individualistico, "rivoluzionaria", cioè attiva non reattiva, specialmente tra le giovani generazioni portate nelle condizioni culturali odierne ad un generico ribellismo.
1- il separare il lavoro, e soprattutto la sua dignità, dalla sua forma merce, dal legame con il corrispettivo in denaro (anche se credo dovremmo appunto per questo rivendicare un sostegno economico pubblico al "lavoro" di cura domestico e per la coesione sociale, che equivarrebbe al riconoscimento della sua basilare importanza);
2- separare la libertà dalla espressione vuota del "potere fare ciò che (astrattamente) l'individuo vuole". La vera libertà è costruire, nella situazione concreta, la propria libera espressione nell'aumentare il potere della collettività da cui dipende la nostra vita, è partecipazione al POTERE CON, non semplicemente affermazione del POTERE SU... Quindi la libertà nasce dal confronto e dalla relazione paritaria con l'altro e con gli altri: è una opportunità che nasce dal riconoscimento del nostro limite e dell'opportunità costituita dall'altro e dagli altri come limite; e come potenzialità concreta di sviluppo. Da questo punto di vista può funzionare benissimo lo slogan contenuto nella vecchia e famosa canzone di Giorgio Gaber: la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione...
* L'incontro su google meet con Luciana Tavernini si è svolto mercoledì 27 maggio 2020

https://ombrerosse.noblogs.org/post/2020/05/25/sono-femminista-sono-sex-worker/
Sono femminista, sono sex worker
Posted on 2020/05/25 by ombrerosse
Scrivo questa lettera aperta a partire dal mio vissuto personale, che ho fatto tanta fatica a raccontare per queste ragioni:
1) Lo stigma: chi lo fa o lo ha fatto in precedenza ti segna a vita
2) Il pregiudizio: vi giudicheranno perché qualsiasi sia stato il motivo della vostra SCELTA, e sottoscrivo questa parola, non siete state abbastanza capaci di trovare un altro lavoro dignitoso.
3) La morale sulla "vendita del corpo", come se negli altri lavori non accadesse.
Il mondo della prostituzione è vasto vi sono tante forme per esercitare: in privato, nel web e nei locali sono le forme più conosciute. Vi è sfruttamento, come giustamente scrivono le/i attivist*, ma in fondo in quale settore lavorativo non c'è?
Io ci sono entrata insieme alla mia coinquilina quando avevo 24 anni e per tre anni è stata la mia attività principale, il salario che mi permetteva di pagare per la mia sussistenza e le spese. Eravamo stufe di farci sfruttare a Roma per pochi euro come cameriere o nei call center o nei supermercati, stufe marce delle manate sul culo nei pub da parte dei proprietari, dei contratti a nero, di essere spremute come limoni infilando 3 lavoretti di merda e dover sottostare al nero degli affitti dei padroni palazzinari. Volevamo tutto e questo lavoro ci ha permesso per tre anni di essere autonome. Certo, abbiamo scelto noi,
ragazze bianche occidentali e istruite nelle scuole con il nostro diplomino utile solo ad essere sfruttate nel precariato. Abbiamo risposto ad un annuncio, ci siamo registrate come ragazze dello spettacolo, il contratto per ragazze di sala e via, è iniziata così. Per tre anni ho vissuto di notte nei locali notturni, la prestazione la stabilivamo fra di noi e sotto una certa cifra non si scendeva: una concertazione fra le stesse lavoratrici, esperienza che ho fatto fatica a trovare fuori, nel mondo diurno, che si definisce moralmente autorizzato a
sfruttare.
Ho lavorato con ragazze che avevano un'alta preparazione scolastica e chi no, ragazze normalissime e soggettività lgbtqia+ (sì, esattamente, riguarda anche noi) e ragazze che venivano da svariati Paesi. Ora la chiamerei sorellanza perché il femminismo mi ha insegnato a trovare le parole, allora la chiamavo complicità. Certo, i primi tempi non sapevo come gestire la situazione con i clienti e cosa fare, chiedevo alle altre come si comportavano, ero impacciata. Se mi trovavo in difficoltà con le ragazze ci scambiavamo i
numeri e quando si era nel locale c'erano dei segnali per interrompere il tavolo e se non potevi farlo qualcuna ti aiutava a toglierti da una situazione poco piacevole. Spesso chi era da più tempo dava consigli alle ragazze appena arrivate e sui clienti. Quando staccavo preferivo non essere sola e spesso uscivo dal locale con un'altra, quando era possibile.
Il moralismo che la nostra società ci inculca ti inibisce finché comprendi che hai consapevolezza di te stessa e. allora, vai come un treno, smonti dall'interno la gerarchia di potere e... vedi come i ruoli possono ribaltarsi. È un lavoro: si offre una prestazione. È a causa deIl moralismo che narra questo lavoro esclusivamente come mercificazione dei corpi che ancora ci ritroviamo nella diatriba tra abolizione e riconoscimento.
In questo testo descrivo la mia esperienza personale che non è uguale per tutt*, ognun* ha un suo vissuto e percezione: chi prende parola lo fa partendo da sé ed ecco perché è violenta la pratica di parlare per conto dei/delle sexworker.
Si possono creare delle solidarietà tra lavoratrici? Sì, è la mia risposta.
Ho versato i miei contributi allo Stato e ciò che più mi fa rabbrividire è che devo nascondere un pezzo della mia vita lavorativa ad altri, l'unico lavoro che io ho scelto. Il resto, infatti, è stato raccogliere ciò che avevo intorno ed essere sfruttata veramente tra capi e capetti che senza autorizzazione esercitano il potere. Questo dovrebbe farci esplodere di rabbia: lo sfruttamento sistematico nella gerarchia di potere. Lavoretti sottopagati, ricatti subiti per un salario di merda ma che ipocritamente accettiamo perché
moralmente sono lavori accettabili, anche se stai vedendo le braccia, la tua vita in balìa del mercato, dove altri decideranno della tua vita... ma troviamo queste scelte più "dignitose". Perché?
È più giusto farsi sfruttare in un qualsiasi lavoro, ma se scelgo di essere sexworker sto vendendo il mio corpo e mi sto facendo sfruttare anche se ho scelto io chi, come, dove quando? È un paradosso grosso quanto un palazzo perché mi sento più sfruttata adesso come lavoratrice che quando facevo sexwork! Lottare per avere diritti sul lavoro è sacrosanto, sia che pulisci i pavimenti, o che tu sia una cassiera, un'operaia in produzione o una cameriera: non ci sono lavoratrici e lavoratori di serie B. Trovo veramente
contraddittoria la questione dello sfruttamento perché c'è chi prende parola sui/sulle sexworker e non si spende minimamente per esprimere indignazione sullo sfruttamento sistemico che avviene tutti i giorni nei luoghi di lavoro.
La prima osservazione che mi hanno sempre fatto quando ho dichiarato di essere stata una sexworker é "lo hai fatto perché sono stata costretta dagli eventi". Sinceramente ho scelto un lavoro che mi dava un salario fra i pochi che c'erano.
- Mi hanno sfruttata?
- No, negli altri lavori invece sì, ed ancora oggi lo sono!
- Perché hai smesso? Evidentemente non reggevi la situazione...
- No! Ho cambiato lavoro come tanti altri!
Dovremmo domandarci invece: perché continuare a trattare da "salvatrici femministe" le/i sexworker? Quali sono invece le loro/nostre richieste? Dovremmo smettere di infantilizzare e cercare sempre i punti deboli delle loro/nostre ragioni o del perché fanno questo lavoro. Sono stata una sexworker e conosco benissimo lo stigma che ci si porta dietro, gli sguardi, i giudizi e pregiudizi.
Essere attivista transfemminista impegnata mi ha dato la forza di uscire fuori e, così come mi batto nelle lotte delle lavoratrici nelle fabbriche, lo faccio con la stessa passione affinché le/i sexworker possano essere riconosciut* come qualsiasi altro settore, a partire dalle loro istanze, dalle pratiche di auto tutela, dai progetti che costruiscono. Negare le loro esistenze significa condannare alla clandestinità ed esporre allo sfruttamento. Si possono costruire dal basso delle reti fra i/le lavoratori/lavoratrici e serve il contributo di alleat*.
Trovo profondamente borghese il perbenismo con cui si blatera delle "altre" vite e delle vite/scelte altrui. Lo scrivo da bianca, occidentale, che ha studiato nelle scuole di un'Europa che sfrutta milioni di migranti per fare i lavori umili e si barrica dietro alle associazioni di donne che firmano documenti contro la prostituzione. Le stesse donne che magari nelle loro case hanno la migrante a fare la domestica o che filano dritto davanti alle addette delle pulizie nei centri commerciali, dove possono fare shopping. Le stesse donne che nelle loro case hanno oggetti prodotti nelle fabbriche da donne sfruttate, che
indossano vestiti prodotti da manodopera straniera sfruttata... ma questo è un altro tema.
Ciò che mi preme è smascherare il discorso stigmatizzante sul sexwork perché distribuisce "valore" diverso ai corpi e alle vite delle persone, per cui alcune sono da "redimere" secondo morale, mentre le altre possono benissimo crepare. Sarebbe infatti troppo scomodo rimettere in discussione il nostro stile di vita occidentale bianco... meglio spostare l'attenzione su chi invece si autodetermina per condannar*.
Appoggiare le/i sexworker in un periodo come questo con un progetto di solidarietà significa non far rimanere nessun* da sol*: questo è ciò che il femminismo insegna. Non potrò contribuire perché la pandemia ha messo anche me in difficoltà finanziarie. Posso però esprimere la mia solidarietà ed il mio sostegno politico-
Un abbraccio,
Maddy Manca
Cosa chiedono i lavoratori del sesso? di ASSOCIAZIONE RADICALE CERTI DIRITTI (aprile 2015)
Una definizione auspicabile di prostituzione:
Per prostituzione si intende la volontaria offerta e/o prestazione, in modo continuativo o saltuario e a fini di lucro, di attività sessuale o erotica svolta individualmente ovvero in forma associata. Essa può essere svolta anche on line attraverso siti web o altri mezzi di comunicazione a ciò dedicati.
La prostituzione, costituisce attività lecita; nessuno può essere costretto a praticarla, né chi la pratica può essere oggetto di discriminazioni.
L'attività di prostituzione non può essere disciplinata da contratto di lavoro subordinato dovendo rimanere contraddistinto il carattere sempre libero e volontario di ogni singola prestazione. Solo esercitata da persone che abbiano la maggiore età.
La prostituzione è consentita nei luoghi dei quali chi la esercita abbia la legale disponibilità; se si intende esercitarla in appartamenti inseriti in contesti condominiali, essa non dovrà essere vietata dal relativo Regolamento. Se si tratta di locali concessi in locazione, il canone non dovrà essere superiore a quello previsto per locali analoghi aventi altre destinazioni. Se si tratta di autoveicoli, gli stessi dovranno sostare in zone consentite.
Lo svolgimento dell'attività di prostituzione è vietato in luoghi pubblici o esposti al pubblico e deve essere impedita la presenza di minorenni, anche se familiari del soggetto che si prostituisce.
