EDITORIALE


CAMBIA IL SISTEMA DELLE PANDEMIE, DELLE DISUGUAGLIANZE E DELLE GUERRE

NON IL CLIMA!  di Alfonso Navarra

Le catastrofi annunciate cominciano ad avere i primi riscontri visibili su scala globale. Gli scienziati ci avevano avvertito della pandemia ed ecco che questa e' arrivata, con le terribili conseguenze cui assistiamo. Centinaia di migliaia di morti, per adesso, ma anche una crisi economica devastante, veicolo di una decrescita infelice. Ora, con questo terribile spettacolo sotto gli occhi, dovremmo essere più propensi a soffermarci sul fatto che bisogna prendere sul serio le minacce climatica e nucleare, nonché il loro intreccio reciproco e con la disuguaglianza sociale. Anche su questi pericoli gli avvertimenti non sono mancati e mancano: se non cambiamo rotta alla barca su cui veleggiamo tutti insieme - chi nelle cabine di lusso e chi nella stiva a remare, questo è tristemente chiaro - possiamo dare per scontato che andremo presto a schiantarci e a naufragare.  

Sul virus eravamo avvertiti da tempo e ci siamo lasciati prendere alla sprovvista. Sul clima ci dicono che, grazie a ondate di calore, tempeste, incendi, alluvioni, desertificazione, eccetera,  dovremo affrontare, come minimo, la mancanza di cibo ed acqua, con il caos sociale conseguente: sarebbe il caso che cominciassimo da subito a prendere provvedimenti per non ritrovarci in un inferno del genere! 

Un virus può mettere in ginocchio l'umanità, come stiamo costatando: un collasso climatico annunciato può letteralmente sterminarla e credo ormai si possa essere convinti che non si tratta di una esagerazione!  

Dobbiamo anche considerare che i problemi ecologici aggravano i conflitti sociali e viceversa. E che, come bene spiega Luigi Mosca nel saggio che pubblichiamo su questo numero, disuguaglianze e conflitti hanno sempre a che fare con le guerre e la loro preparazione: in epoca atomica, ahi noi!, possono sfociare in guerra atomica, anche per incidente o per errore di calcolo (è quanto ci rammenta il Petrov Day che abbiamo celebrato il 19 maggio, la data della morte del colonnello sovietico che, nel 1983, salvò il mondo non rispondendo ad un falso allarme di attacchi missilistici da parte USA).

Guardiamoci dritti nelle palle degli occhi: ormai non ci sono più scuse perché non ci si disponga con priorità assoluta ad affrontare le radici delle varie crisi intrecciate, e non solo i sintomi per finta. Se abbiamo fatto buon uso della quarantena in cui siamo stati relegati, dovremmo aver riflettuto sul fatto che molto del nostro precedente modo di vivere va proprio buttato, mi si perdoni il parlar franco, letteralmente nel cesso!

Dobbiamo - è la ferma convinzione di questa rivista -ritrovare il senso di un progresso vero, di una civilizzazione autentica, dobbiamo innanzitutto fare la pace con la Natura che finora abbiamo violentato senza ritegno!

Dobbiamo meditare su una nuova bussola culturale orientando le sperimentazioni pratiche su quello che possiamo chiamare il principio di terrestrità: 

l'idea che l'umanità non è padrona della Terra ma al contrario appartiene ad essa (come le foglie appartengono all'albero di cui fanno parte) 

ed è suo dovere, da sancire nel diritto internazionale, salvaguardare l'ecosistema globale ed anche gli ecosistemi locali. 

Gaia, la Madre Terra, è l'unico vero nutrimento (la "ricchezza") di cui disponiamo; e non possiamo consentire che la stolta avidità di ristrette elites, fomentatrici di accumulazione ed estrattivismo illimitati, e della potenza militare che li difende con i denti nucleari, portino a segare il ramo dei cicli ecologici su cui siamo seduti!

Ne deriva che dobbiamo concentrare tutte le nostre risorse su obiettivi vitali per evitare, appunto, l'arrivo delle crisi che si combineranno tra loro. Può passare che il Covid19 ci abbia colto di sorpresa, ma farsi travolgere dal collasso climatico sarebbe a questo punto davvero da deficienti: le conseguenze della crisi in atto sono documentate da tempo, sono prevedibili, e non mancano gli scricchiolii evidenti con corredo di vittime.

Il famoso "ripartire" dovrebbe allora coincidere con lo "svoltare", possibilmente e quanto prima ad U: cioè ripensare radicalmente le nostre scelte di produzione e di consumo, ma anche quella di difenderle con le armi; 

e trovare il modo di gestirle in modo cooperativo, nell'affidamento alla "sicurezza comune" disarmata, come Cristo ed il buon senso comandano. 

Si parla di "Green New Deal", nel mondo, in Europa e in Italia, e dovremmo capire che un tale programma dovrebbe andare oltre gli slogan alla "Ursula" o alla "Giuseppi" , per quanto corredati di poco credibili promesse miliardarie. E dovrebbe comunque - il programma della transizione ecologica - evitare le trappole del "greenwashing", perché nel passaggio ad una nuova economia dovremmo tenere adeguatamente conto di tutti i costi ecologici, sociali e politici di ciò che ci viene più che offerto imposto (abbiamo veramente bisogno del 5G?) e delle scelte che facciamo (si pensi al litio per l'industria delle auto elettriche).

La ricetta per lanciare l'eco sviluppo rimediando alle disuguaglianze e reinserendo nella società quelli che vengono considerati "scarti" non può che essere rivoluzionaria in senso forte: 

cambiare, attraverso percorsi e interventi concreti, il sistema che, fomentando antagonismi e guerre, fa guerra alla Terra! 

Le priorità per grandi trasformazioni (denuclearizzazione, decarbonizzazione), trainate da investimenti statali nelle infrastrutture, nei servizi e nel lavoro, e da una riforma fiscale redistribuiva (patrimoniale!) ed ambientalista (carbon tax!), ma anche da coerenti preferenze dei consumatori e degli utenti, non possono che essere rivolte alla costruzione di un modello coerente di economia disarmata, "pacifica", guidato dall'ecologia. 

Vale a dire - e quelle elencate sono cose alla nostra portata in tempi brevi - l'energia rinnovabile al 100%, la de-urbanizzazione e il decremento demografico, l'agricoltura biologica liberata da monocolture e allevamenti intensivi, la mobilità sostenibile incentrata sulle due ruote e sul trasporto pubblico "ferrato", la ricostituzione, anche attraverso la riforestazione, di nuovi habitat vegetali ed animali (difendiamo la biodiversità dalla sesta estinzione di massa!), una conversione industriale con l'innovazione digitale praticata a misura di intelligenza umana, la fissazione di limiti etici alla ricerca e alle sue applicazioni tecnologiche per evitare le sbandate del post-umano, del trans-umano e del super-umano. 

Questi obiettivi di cambiamento sistemico rischiano lo stesso di diventare una vuota giaculatoria di slogan "anticapitalistici" se non ci sforziamo di indicare le risorse e i percorsi necessari per realizzarli a cominciare dai primi passi concreti, con cifre e tempistica, senza i quali le lunghe marce agognate restano, appunto, nella migliore delle ipotesi, solo sogni. Possiamo stare certi - almeno è una mia ferrea convinzione - che chi ripete a pappagallo "bisogna abbattere il capitalismo" di fronte a ogni problema concreto, non sapendo poi aggiungere altro su come si soddisfano in pratica bisogni e necessità della gente che vive, suda, soffre e lavora (o aspira a lavorare), viene ad essere di fatto un alleato del potere organizzatore del sistema che a parole contesta. Tanto più se pretende di collegare -  è un caso estremo ma purtroppo incidente e rumoroso - il "rifiuto della logica del profitto" ai bancomat sfasciati con il passamontagna calato sul volto o ai saccheggi di Nike e Rolex a latere delle manifestazioni antirazziste! (E il collegamento avviene di fatto, anche da parte dei movimentisti confusi, quando non si prendono duramente le distanze dai comportamenti teppistici, anzi si avallano discorsi del tipo: questi "ragazzi" che vogliono "abolire la polizia" - non solo tagliarle i fondi - hanno imparato a saccheggiare dalla violenza degli apparati repressivi: sono LORO - cioè TUTTI i poliziotti - i VERI saccheggiatori, stupratori, assassini...).

A scanso di equivoci mi preme sottolineare che le osservazioni e gli avvertimenti durissimi a non confondersi con i ribellisti violenti, "anticapitalisti" solo a parole, sono svolti in modo accorato da parte di chi si sente interno ad un movimento, nato in risposta all'assassinio di George Floyd da parte di un poliziotto di Minneapolis, il cui sviluppo viene  perciò accompagnato con grande favore e speranza: 

dopo anni di violenze e di quasi monopolio di una narrazione "sovranista" ossessionata dai flussi migratori e dal machismo, finalmente negli USA e nel mondo una grande mobilitazione di base internazionale si sta rivolgendo contro razzisti, fascisti e nazionalisti! 

E' un movimento, contro il suprematismo bianco delle società occidentali, con i suoi evidenti ed inevitabili limiti, ma benedetto dalla decisa ispirazione solidaristica e forte della sua massiccia trasversalità razziale e generazionale. Facciamo, ad esempio, in modo che questa ondata serva ad abbattere Trump e non a confermarlo nelle elezioni presidenziali del prossimo novembre, perché, annebbiati da occhiali ideologici, non siamo capaci di vedere le differenze tra un parafascista e i democratici neoliberali Obama e Biden!  Noi siamo certamente alternativi a tutte le ideologie politiche e ai regimi capitalistici (ed inquadrati nel sistema della potenza), ma sappiamo riconoscere la specificità del fascismo e sbarrarne la strada, come fecero i partigiani, di cui ci sentiamo eredi, contro Hitler e Mussolini!

Questa cecità  è il portato dell'ideologia di un certo populismo antiglobalizzazione (identificata con l'occidentalizzazione) che si richiama alla sovranità nazionale come valore centrale da difendere. Ma al sottoscritto appare evidente, in sintonia con le sue organizzazioni di riferimento, di cui IL SOLE DI PARIGI è strumento, che 

la storica crisi odierna ha bisogno, come risposta, non di un nuovo nazionalismo ma di un nuovo internazionalismo!

Il "sistema", considerato nella sua effettività e non attraverso caricature semplificatorie - e questo crediamo vada prospettato anche e soprattutto ai ragazzi e alle ragazze che stanno scendendo in piazza in questi giorni -  si combatte allora con politiche concrete sostenute da movimenti concreti per la loro attuazione (la concretezza é anche sapere fare i conti della serva, proporre quanti miliardi vanno spostati da un impiego all'altro) non con le vuote sparate a parole contro un "capitalismo" indistinto chiamato in causa per lo più a sproposito: il concetto, quando viene reso privo di ogni aggancio con analisi realistiche, assume a ben vedere la stessa funzione euristica che certe sette religiose attribuiscono alla mano del Diavolo nella storia.

In queste politiche concrete - vogliamo chiamarle anticapitalistiche? sia pure! - in cui una idea quantitativa delle risorse da mettere in campo é necessaria averla, bisogna inoltre mostrare l'intelligenza di considerare che ogni intervento sociale provoca una reazione da parte dei soggetti investiti di cui, se possibile, occorre tener conto in anticipo. Tornando all'Italia, chiediamo che si taglino i sussidi ambientalmente dannosi (20 miliardi l'anno in Italia) ed esigiamo l'imposizione di una onerosa carbon tax (25 miliardi se fissata a 70 euro la tonnellata)? Dobbiamo porci il problema di come anticipare la protesta degli autotrasportatori che rischiano di finire sul lastrico (vedi gilet gialli in Francia). Esigiamo una imposta patrimoniale che dovrebbe redistribuire la ricchezza (da parte dell'1% più ricco? da parte del 10%?) a favore di un welfare verde? Dobbiamo premunirci dalle fughe dei capitali all'estero evitando di spaventare un ceto medio produttivo non assimilabile alle grandi multinazionali o agli speculatori finanziari. Anche su questo punto può evincersi l'importanza di una dimensione perlomeno europea dell'intervento, in quanto l'integrazione continentale appare una condizione per gestire a livello politico e giuridico dei processi i quali, se lasciati evolversi senza il necessario intervento di un regolatore sovranazionale, rischiano di porre gli stessi Stati nazionali in una condizione di grande ricattabilità.

Un appuntamento, si spera decisivo dopo i traccheggiamenti della COP25 a Madrid, sarà la COP26 in programma a Glasgow, in Scozia. E' stata rimandata, per pandemia, nel novembre del 2021; e bisognerà arrivarci, con l'entusiasmo giovanile - si spera intatto - suscitato da Greta Thunberg, ma in complementarità con la saggezza antinucleare del "vecchio" ambientalismo e pacifismo; però purgata dalla tendenza alle compromissioni di molte ONG, che hanno introiettato il modello aziendale, con i progettifici affaristici.

L'agenda verde della Commissione UE guidata da Ursula voi Der Leyen, se adeguatamente indirizzata ed incalzata da reti di movimento di base - sto pensando alla costituenda RI-COSTRUIRE L'ITALIA, ad esempio - può rendere l'Europa, ed in essa l'Italia, protagonista di una inversione di tendenza destinata a durare, e a farci durare, per creare un modello solido di riconciliazione tra il Pianeta ed i suoi figli/abitanti umani. 

Una idea di coordinamento come l'antesignana di RI-COSTRUIRE L'ITALIA "SI'-AMO LA TERRA",  che riuscì a mettere insieme No TRIV, no TAV, no TAP, no NUKE, eccetera. Su questa possibile convergenza investiamo notevoli speranze come rivista e come sue organizzazioni di riferimento: una idea che, se rilanciata, potrebbe porsi alla testa di un fronte sociale che si opponga al "partito del PIL" (impegnato nell'assalto alla diligenza dei fondi europei) che dovrebbe includere, insieme alle resistenze territoriali e ai sindacati di base, anche i nuovi movimenti tipo i Fridays For Future, Exctinction Rebellion, Nonunadimeno, le Sardine, gli antirazzisti e quanti altri, possibilmente orientati culturalmente dalla bussola della "terrestrità" (la nonviolenza efficace!) cui abbiamo accennato, nelle diverse declinazioni che hanno a cuore la cura dell'Umanità e della comune Madre Terra. 

Una ultima avvertenza. Questo numero 4 de IL SOLE DI PARIGI esce, come scriviamo nell'intestazione, nella fase 3 della lotta ufficiale al coronavirus. E qui vogliamo essere molto chiari su come vediamo la situazione, partendo da un atteggiamento di responsabilità, che ci permettiamo di definire ragionevole e scientifico: diversamente da come sembrano suggerire alcuni "esperti" (si veda il documento dei dieci scienziati guidati da Alberto Zangrillo), 

riteniamo non possiamo considerarci, in Italia, anche desiderandolo con tutto il cuore, già oltre la pandemia. 

Dobbiamo sempre tenere presente che il Covid19 attualmente, non è fenomeno solamente italiano ma è un fenomeno mondiale: e, dati in mano, sicuramente in espansione.
Gli ultimi dati di questo giugno segnalano infatti la crescita tumultuosa dei casi, oltre che negli USA, in Paesi come Brasile, India, Messico. Il Covid19, disgraziatamente, può ancora trovare grande spazio in Africa, finora solo sfiorata, dove la curva comincia a salire mentre scriviamo. I contagi, secondo l'OMS, viaggiano verso i 10 milioni ed i morti finora sono circa mezzo milione. Non è sinora la Spagnola, ma nemmeno una cosa da prendere sotto gamba con ragionamenti che non fuoriescono dall'orticello di casa nostra (si vedano le interviste da noi richiamate al dottor Ernesto Burgio, dell'ISDE)!
Per fortuna i cosiddetti esperti ufficiali, in competizione per i riflettori mediatici, stanno litigando tra loro e questo ci rende più facile esprimere una posizione che non coincide affatto con "l'ascoltate la Scienza" ci sembra alquanto semplicistico di Greta Thunberg (riferito da parte sua ai climatologi e all'IPCC, che prospettano scenari probabilistici e non soluzioni precise). Non crediamo che questo o quel gruppo individuato di esperti accreditati in quanto legati al potere possa comunque essere accettato come la voce unica e indiscutibile della Scienza con la S maiuscola, in particolare quella che intende imporci come soluzione al probema pandemia il controllo sociale super-tecnologico.
Anche per questo diamo ad esempio voce a Tonino Drago, lo storico della matematica, ed attivista nonviolento, che apre con il suo articolo una riflessione su una possibile "Scienza alternativa", già contenuta, nella sua proposta, in molti aspetti della scienza dominante.
Il SOLE DI PARIGI è certamente sensibile all'istanza della libertà democratica, da cui partono Zangrillo e i suoi - ci sembra di capire - sponsor politici berlusconiani, ma anche qui occorre essere molto chiari: 

per noi libertà non è quella egoista, razzista e funzionale agli sfruttatori ed oppressori dell'1%, bensì quella che si esprime come "partecipazione", 

come diritti delle maggioranze capaci di includere le minoranze, i diversi, gli emarginati, gli "scarti".
Da questo punto di vista ci sono molti aspetti liberticidi, inutilmente repressivi, nella gestione del Covid19 da parte dei governi, anche quelli che si proclamano paladini della democrazia, che dobbiamo denunciare e contrastare. L'alternativa però non può essere il negazionismo alla Trump, alla Bolsonaro, alla Johnson, alla Modi, che hanno cavalcato demagogicamente le proteste contro il lockdown con l'evidente - almeno per noi - intenzione di azzerare le libertà altrui per favorire i propri comodi di privilegiati al potere. Crediamo sia più che opportuno, doveroso  insistere, con le nostre azioni, a volere considerare e far considerare l'intervento democratico dal basso "attività essenziale", cui è bene non rinunciare anche nelle fasi emergenziali: ma mantenendo quella disciplina nonviolenta per comportamenti utili a minimizzare i rischi collegati al coronavirus e perciò a non danneggiare il prossimo. 

Senza esitazioni, invitiamo allora a portare ancora la mascherina e ad osservare il distanziamento fisico nelle manifestazioni, finché cure adeguate e vaccini non conducano alla scomparsa permanente di ogni focolaio, dovunque nel mondo.

Siamo, in conclusione, realisti e creiamo il nuovo possibile: riorganizzare la società, l'economia, la politica dal basso verso l'alto, agendo localmente ma coordinati internazionalmente, con la nuova coscienza planetaria a guidare le nostre menti ed i nostri cuori! Ed esprimendo da subito, nella nostra azione, il cambiamento che vogliamo vedere realizzato nel mondo: una libertà responsabile, gestita democraticamente con finalità e mezzi collettivi. 

Una libertà guidata non dall'irrazionalismo dalla paura , che è ad essa nemica, ma da sentimenti di ragionevolezza scientifica, e - scusate se insistiamo - non scientista per come è espresso dallo slogan: "ascoltiamo gli scienziati!".

L'approccio nelle intenzioni è quello laico di chi, tramite le ipotesi scientifiche, compie esperimenti con la verità che però sa gandhianamente di non possedere completamente, in quanto avvertito dei limiti della conoscenza ma al contempo fiducioso e rispettoso anche del sapere spontaneo, inconscio ed informale delle pratiche sociali.  

Questo ci sembra molto vicino al concetto di "democrazia cognitiva" elaborato da Edgar Morin, che parte dall'esigenza di restituire ai cittadini, disorientati dalla complessità e dalla scala globale dei problemi, la possibilità di "decidere la propria collocazione nel mondo".

Vi è un divario fra democrazia politica, che almeno apparentemente continua a essere praticata, e democrazia cognitiva, che rischia di non essere praticata da nessuno, perché nemmeno gli esperti riescono a pensare l'intreccio dei problemi ai quali dovrebbero essere chiamati a rispondere. Dobbiamo invertire il circolo, renderlo da vizioso virtuoso. Solo un'inedita democrazia cognitiva, che promuova lo sviluppo personale dei cittadini nella loro capacità di acquisire, di connettere, di interpretare informazioni e conoscenze, potrà consentire di rigenerare la democrazia politica.


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